Questa mattina mi sono svegliata con una notizia confortante: nonostante la crisi e il periodo storico non proprio propizio, l’imprenditoria femminile continua a crescere rispetto alla media dell’imprenditoria nazionale. Secondo l’Osservatorio sull’Imprenditoria Femminile – nella sua analisi dei dati del secondo trimestre 2011 – infatti, le imprese gestite o condotte da donne sono cresciute di ben 9.815 unità, numero assoluto che da solo dice poco ma che corrisponde ad un tasso di crescita dello 0,7% contro lo 0,2% dei colleghi maschi e, se paragonato alla crescita media dello sviluppo nazionale, segna il + 0, 4 % a fronte di uno 0, 3 %.
Ammettiamolo: quante di noi, di fronte all’ennesimo stage non retribuito che ci viene offerto, all’ennesimo lavoro malpagato o, peggio ancora, ad un lavoro che non ci responsabilizza e ci costringe a rimanere imbrigliate in dinamiche e burocrazie poco gratificanti – e spesso guidate da un punto di vista purtroppo ancora maschilista – hanno pensato di mettersi in proprio? E quante di noi, un minuto dopo, hanno cambiato idea? Con la crisi mettersi in proprio? Ma è una follia! Evidentemente no.
Ad oggi, comunque, sono 1.430.900 le imprese femminili, per una percentuale pari al 23,4% sul totale di tutte le imprese registrate presso le Camere di Commercio. Camere di Commercio le quali, come ribadisce il Presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello, sono le realtà più attive per quanto riguarda i finanziamenti e il sostegno alle donne che vogliono aprire un’attività.
Stando ai dati, dunque, evidentemente qualche persona folle in grado di rischiare c’è, persone da prendere ad esempio e che, forse, saranno il futuro di questo Paese ancora legato ad una tradizione patriarcale e poco propulsiva rispetto all’imprenditoria e al mercato. E ancora lontana, soprattutto, dagli standard dei paesi europei più sviluppati.