Per mantenere la produzione in Italia, il noto marchio di elettrodomestici ha posto rigide condizioni basate su drastici tagli al costo del lavoro. Le rappresentanze sindacali dei quattro stabilimenti italiani sono sul piede di guerra…
Stipendi ridimensionati ai livelli polacchi, dagli attuali 1.400 euro a 7-800, tagli lineari sul costo del lavoro per tutti e piano industriale applicato solo a tre stabilimenti su quattro, il che condannerebbe a certa chiusura quello di Porcìa, in provincia di Pordenone. Sono queste, in estrema sintesi, le condizioni imposte dal gruppo industriale per continuare a produrre in Italia. Nelle fabbriche, i cui lavoratori si sono riuniti in assemblea oggi, gli operai annunciano battaglie e scioperi, preparandosi a chiedere un incontro con il premier Letta.
Ancora più preoccupante la situazione dello stabilimento di Porcìa. Mentre per gli altri tre siti produttivi, unitamente ai tagli, si prevede l’applicazione di un piano industriale di rilancio, per lo stabilimento friulano il futuro si fa complicato dato che l’azienda ritiene eccessivi i costi di produzione delle lavatrici, che lì si fabbricano, a fronte della concorrenza dei marchi dell’estremo Oriente come Samsung e Lg.
Le speranze per i lavoratori friulani sono appese all’attesa di «ulteriori potenziali proposte da parte di tutti gli attori coinvolti, che consentano alla fabbrica di colmare i gap ancora presenti» come ha detto il manager di Electrolux Italia Marco Mondini che prevede «non oltre la fine di aprile» l’ultima parola su quel sito.
«Se non succede un miracolo entro aprile – ha detto un anziano sindacalista – Porcìa è persa e a cascata, in due anni, sarà la volta degli altri stabilimenti. La nostra è una flotta con la portaerei e le navi di appoggio se si affonda la portaerei, Porcìa, basta un sommergibile per far fuori tutto il resto».
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