Si è parlato tanto dell’intervento a cui si è sottoposta l’attrice Angelina Jolie, una mastectomia preventiva a causa della presenza nel suo corpo di una mutazione genetica ereditaria a causa della quale avrebbe avuto l’85% di probabilità di contrarre un tumore.
L’episodio, pubblicizzato forse anche in maniera inappropriata, ha dato origine ad una vera e propria psicosi che anche nel nostro Paese si è trasformata in una corsa allo screening. Solo all’Unità di diagnosi e terapia di senologia del Sant’Andrea di Roma, le richieste del test per rilevare l’eventuale mutazione genetica sono aumentate del 80%. Un allarmismo che la responsabile del reparto, Adriana Bonifacino, si spiega con la cattiva informazione da parte delle donne italiane.
Il test ha senso solo nella propria famiglia ci sono precedenti e oltretutto, una volta che la mutazione è stata rilevata, la mastectomia non è l’unica via. Si può procedere con una cura medica in fase sperimentale, o anche diventando una “sorvegliata speciale” ovvero entrando in un programma di profilassi che prevede prevedono una risonanza magnetica all’anno a partire dai 25 anni, un’ecografia ogni 6 mesi e una mammografia annuale a partire dai 30 anni.
A chiarire ulteriormente le idee alle allarmiste decise a fare il test è la dichiarazione, un po’ cruda, ma realistica del genetista Bruno Dallapiccola: l’asportazione della ghiandola mammaria riduce il rischio di tumore nelle donne con “la mutazione” dell’85%, ma rimane comunque un 5% di probabilità che il cancro si manifesti alle ovaie, altro punto dolente per quanto riguarda la formazione del suddetto.
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