Questa sesta giornata del Festival di Roma, edizione numero sette 2012, si sta rivelando, ad oggi, quella più ricca di emozioni, nel bene e nel male.
I film ghiotti di questa giornata sono due, per motivi decisamente diversi e con un coinvolgimento di pubblico e critica radicalmente opposto. La giornata è stata inaugurata dallo scoppiettante Bullet to the Head, ultimo film del regista di culto Walter Hill che ha portato sullo schermo il grande Sylvester Stallone, reduce da I Mercenari 2.
Il leggendario attore, volto di Rocky Balboa e John Rambo, è stato infatti applaudito e osannato da una critica che per un momento si è trasformata in un gruppo di fan accaniti e adoranti, verso uno Stallone in forma smagliante, simpatico acuto e spiritoso. Nel film, Sly è Jimmy Bobo, un sicario che si trova costretto a collaborare con un giovane detective per vendicare la morte di un suo socio.
Il film si rifà alla tradizione di genere anni ’70 e omaggia anche il western con dialoghi brillanti e ironici e sparatorie d’altri tempi. Sembra strano da dire, ma in un film del genere non si ci aspettano particolari implicazioni psicologiche, invece Bullet to the Head è continuamente teso in un conflitto morale che investe soprattutto i due protagonisti, che collaborano ma che potrebbero uccidersi da un momento all’altro con la stessa facilità.
In conferenza stampa, Stallone ha esordito lanciando un appello per salvare Cinecittà, per poi proseguire raccontando della sua carriera:
“A Hollywood ho imparato a cavarmela da solo, perché il cinema non è una storia d’amore ma una questione d’affari”
e della sua famiglia:
“A casa sono circondato. Quando non lavoro e non sono sul set passo il tempo a rincorrere le mie figlie. Sono tre, tutte femmine, e considerando che ho una moglie e due domestiche più dei cani, tutti donne, sono l’unico uomo in casa, a parte il cane maschio, che però è stato castrato!”
Ma se l’incontro con Sly ha fatto elettrizzare l’intero Auditorium, c’è stato un altro evento che l’ha invece fatto indignare. Si tratta della proiezione del terzo film italiano in Concorso, E la Chiamano Estate, di Paolo Franchi.
Il film, racconto doloroso di una coppia che non riesce ad avere un rapporto sessuale, ha scatenato le ire dei giornalisti che hanno dichiarato, a ragione, il film indegno e brutto, causando le ovvie reazioni da parte del regista. Franchi si è eretto, di conseguenza, ad autore e artista egoista, che preferisce parlare ad un solo spettatore pur di non tradire se stesso.
“L’arte è egoista” ha confermato in conferenza stampa il regista, ma se così fosse allora, perché presentare un film ad un Festival Internazionale, soprattutto perché accettare fondi pubblici (MIBAC e FilmCommission) per realizzare un’opera così privata?
In attesa della sfilata di Stallone sul red carpet di stasera, ricordiamo che i film da presentare in concorso in questi ultimi due giorni (escluso il giorno delle premiazioni) sono ancora tre e che nonostante i titoli favoriti, i giochi per il Marc’Aurelio d’Oro sono ancora aperti.
httpv://www.youtube.com/watch?v=0MPfMKIzndg