Credevate che una lavoratrice madre non potesse essere licenziata, in base al divieto previsto dal D.Lgs. 151/2001 art. 54, volto a tutelare le condizioni psico-fisiche, nonché economiche, della neo mamma e del bambino. Credevate che il licenziamento fosse nullo anche se il datore di lavoro sia o meno consapevole della gravidanza o anche se la lavoratrice madre non abbia presentato in azienda la certificazione medica attestante la situazione personale (secondo la sentenza della Cassazione n. 5749/2008).
E credevate anche che la lavoratrice illegittimamente licenziata avesse diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro a meno che non sussistano casi eccezionali previsti dal D.Lgs. 151/2001 art. 54, come ad esempio: la colpa grave della lavoratrice che costituirebbe la giusta causa del licenziamento; esito negativo del periodo di prova previsto dal contratto di lavoro; la cessazione dell’attività dell’azienda; la scadenza naturale del contratto di lavoro controfirmato dalle parti (datore e lavoratrice)
Con l’interpretazione data dalla Cassazione nella sentenza 16746/2012, cadono alcune certezze. La vicenda esaminata ha come oggetto il licenziamento di una lavoratrice madre che, secondo il datore di lavoro, non avrebbe comunicato la volontà di fruire del congedo parentale, assentandosi così, dal posto di lavoro, ingiustificatamente.
La donna vince in primo grado, ma in appello, la Suprema Corte, da ragione al datore di lavoro giudicando il licenziamento legittimo, in quanto, omettendo la comunicazione, la lavoratrice ha dimostrato poco attaccamento al lavoro creando disagi al datore di lavoro che avrebbe potuto organizzare le attività diversamente considerata l’assenza, e nella sua superficialità, la Suprema ha riscontrato l’inaffidabilità lavorativa della donna.
La sentenza si basa giuridicamente sulla legge fondamentale succitata, che disciplina un po’ tutta la materia: articolo 54 del decreto legislativo 151/2001 – divieto di licenziamento della lavoratrice madre; articolo 32 del decreto legislativo 151/2001 – congedo parentale concesso al genitore nei primi otto anni di vita del bambino; comma 3 dello stesso art. 32 specifica inoltre il preavviso obbligatorio di 15 giorni, da dare al datore di lavoro, prima dell’inizio del periodo di congedo.
In buona sostanza, una neo mamma, può essere licenziata nel caso in cui il suo comportamento è motivo di giusta causa legata alla colpa grave; ma dal momento che la lavoratrice madre gode, in ogni caso, di tutela legislativa, prima di concretizzare il licenziamento il datore di lavoro deve prendere atto delle particolari condizioni psico-fisiche collegate alla maternità. La Cassazione, nel caso in oggetto, non ha giustificato la donna, pur considerando le sue condizioni psico-fisiche, ed ha confermato la legittimità del licenziamento in quanto l’omessa comunicazione della volontà di usufruire del congedo parentale equivale a “colpa grave”.